domenica 30 settembre 2007

Ciao Adele

ciaoadele

Adele ci ha lasciato. Il suo ricordo corre di blog in blog, in una rete sconfinata che l'ha vista protagonista con la sua umanità.


Mi ha rattristato molto leggere della sua scomparsa, tutti insieme mi sono venuti in mente i ricordi che ho di lei.  Sensibile, gentile,  solare nonostante le difficoltà.


Pubblico qui sotto  una poesia di Adele e il banner che ho copiato nel blog di Giulia.


Potete leggere i suoi post, la sua storia sui  blog che Adele ha aperto su La Stampa: 


http://adele07.blog.lastampa.it/easy_rider/
http://avventuredidonna.blog.lastampa.it/



Giovedì, 11 Marzo 2004



TUTTO FINISCE


Tutte le vite finiscono con la morte,
Tutti gli amori finiscono col distacco.
Tutte le felicità finiscono in pianto.
Tutti i piaceri finiscono in delusione.
Tutti i viaggi finiscono alla méta
Tutte le compagnie finiscono col saluto
Tutte le famiglie finiscono in disgregazione
Tutte le salite finiscono con la discesa.
Tutte le guerre finiscono in perdita.
Tutto ciò che ha un principio
ha anche una fine
e la fine non è mai piacevole.
Ci si affeziona e si abitua anche al dolore.
L’uomo soffre quando sente mancare qualcosa
alla quale è abituato.
La più spaventosa perdita però
è quando svanisce l’ultima speranza
perchè dopo questo
c’è la disperazione
che ci tortura finche ci uccide.


Adele07    (Easy Rider)

venerdì 28 settembre 2007

Notte

I sogni che si portava appresso erano difficili
da sopportare. Li aveva occupati la guerra e non li voleva restituire.


Così, ogni notte, sapeva che lì sarebbe tornato.
Il bambino, il fuoco e le macerie. Lui correva disperato però non riusciva ad
arrivare in tempo. Oscuro testimone, urlava con quanto fiato aveva in gola come
se in quel urlo potesse rinchiudere tutto l'orrore e la disperazione che
provava. Poi si svegliava, madido di sudore.


Era ancora notte, rifugio e minaccia, solo che
lui non aveva più sonno. Trascorreva le ore che restavano guardando il soffitto
e cercando di non pensare. Almeno questo.

Redtshirt


SERENDIPITY è con il
popolo birmano
contro ogni forma di violenza.



sul blog cattiva maestra trovate il codice html  da utilizzare per riprodurre questa immagine

giovedì 27 settembre 2007

Rotonda


casa Una
delle tante disseminate tra un paese e l’altro. Niente mare. Niente
sole. Solo alberi spogli su cui si posa la nebbia. Fiori impolverati ai bordi della strada.


Un vecchio si muove
sull’asfalto senza prestare attenzione a niente. Autisti suonano il
clacson cercando di scansarlo. Metri a passo d’uomo quando due auto si incrociano in senso inverso. Lui ne uno sguardo ne un lamento. Lo sguardo sui suoi passi, la mente altrove.

mercoledì 26 settembre 2007

Si facesse gli

Non
si riusciva bene a capire perché avesse voluto tirar fuori quella
vecchia storia. Nessuno ne parlava più. Pure i genitori della ragazza
in qualche modo si erano dovuti rassegnare.


Michele, il figlio del portiere,  era
un ragazzetto sveglio. Scrutava le persone in un modo tutto suo. Dava
quasi l’impressione di volerne scovare i segreti più profondi. Si
vedeva che non era nato dal lato giusto. Pure lui se ne era reso conto.


100_3923
Da un paio di settimane aveva iniziato a cacciare in faccia alla gente strane domande. Lo faceva senza preavviso. In
mezzo alla conversazione infilava punti interrogativi che mettevano a
disagio i suoi interlocutori. Certe volte li spingeva al silenzio. Poi,
con naturalezza, cambiava argomento. Fingeva di non aver visto lo scompiglio creato. Stemperava e registrava le impressioni, i gesti di un momento.


Perché tutto questo? Non si capiva bene quale fosse lo scopo.


A casa di Michele iniziò ad arrivare una strana corrispondenza. Messaggi, senza partenza
e senza arrivo, venivano furtivamente infilati sotto la porta. Lettere
ritagliate con perizia sconsigliavano ulteriori intrusioni. Meglio
pensasse alla sua vita. Finchè ne aveva una.


S’intende.


Il primo messaggio
l’aveva accolto con un sorriso. Stava seguendo la pista giusta. Non
l’aveva sfiorato il pensiero del pericolo.


Un paio di giorni
dopo arrivò un’altra missiva. Sempre sullo stesso tono. Caso volle che
la trovasse sempre lui. I suoi genitori erano all’oscuro di quanto stava accadendo e a lui stava bene così.


Dopo la terza inizio
a pensare a un qualche modo per tutelarsi. Era un affare pericoloso.
Meglio non scordarlo. Con questo pensiero uscì di casa. Si avviò verso il bar. Trascorreva lì le giornate da quando era stato licenziato.


Era scesa la sera. La cena era
pronta. Una madre attendeva suo figlio. Occhiate furtive all’orologio ne
tradivano la preoccupazione. Un’ora e poi due. Michele era in ritardo. Lo disse
al marito. «Tranquilla, ormai è grande. Vedrai che torna presto» . Lui  la
rassicurò così. Almeno ci provò ma lei sentiva che qualcosa non andava.


Albeggiava quando tiro giù dal letto il suo uomo. «Dobbiamo denunciare la sua scomparsa». Non ammise repliche.
Non quella volta. La cosa non fu presa subito sul serio. In fondo era
maggiorenne. Capitano spesso di queste cose. Non è il caso di
allarmarsi. «Certo non è mica loro il figlio» E lo disse pure al
commissario che dava segno di non darle troppo ascolto.
Poi, in un cassetto, furono trovate le lettere minatorie. Le indagini
presero piede. Vennero organizzate perquisizioni in alcune case del
paese, perlustrati i boschi. Appelli alla tv «Michele torna a casa».
Prime pagine sui giornali «Chi sa parli». Titoloni che riempivano di
curiosità. Un giorno dopo l’altro. L’abitudine si insinuò nelle
indagini. Nulla di nuovo. Terze pagine, il fondo. Poi il silenzio.


Michele Sarpi rimase un punto interrogativo male speso.

lunedì 24 settembre 2007

Quale occhio può cogliere l’errore?

La campagna No Anorexia ,
lanciata dal  marchio Nolita fa
discutere. Oliviero Toscani ne ha curato la realizzazione. Le immagini sono shockanti.
Una ragazza vittima dell’anoressia si  mette a nudo di fronte all’obiettivo.


Le fotografie saranno pubblicate sui quotidiani e affisse nelle principali città
italiane in contemporanea con la settimana della moda milanese.


Oliviero
Toscani dichiara: “Sono anni che mi interesso al problema dell’anoressia. Chi
ne è responsabile? La comunicazione in generale? La televisione? La moda?
Quindi è molto interessante che finalmente proprio un’azienda di moda abbia
capito l’importanza del problema, ne abbia preso coscienza e con coraggio si
esponga in questa campagna.” Toscani aggiunge di essere pronto alle critiche
che qualcuno solleverà per la crudezza delle immagini proposte: “C’è una
bellezza nella tragedia. Il paradosso è che ci si sconvolge davanti
all’immagine e non di fronte  alla
realtà. Io ho fatto, come sempre, un lavoro da reporter: ho testimoniato il mio
tempo.”


Fonte Tgcom


L’Aba, Associazione per lo studio e la ricerca
sull'anoressia e la bulimia, si dice indignata riguardo tale iniziativa. Mette
in guardia contro il rischio emulazione. Le immagini possono generare  invidia in ragazze anoressiche il cui obiettivo
rimane essere le più magre. Non è una campagna, come questa, la soluzione, afferma l’associazione,
è meglio rivolgersi a centri specializzati.


Le prime critiche sono arrivate.
I dubbi ci sono. L’anoressia è una malattia seria che colpisce milioni di
persone. Come prevenirla, come curarla sono domande a cui è difficile rispondere.


E’ giusto chiedersi, in una
società basata su immagini effimere, come è la nostra, se una foto, per quanto drammatica,
 possa riuscire a toccare il cuore delle
persone, farle riflettere, senza preconcetti, su abitudini e stili di vita. Una
ragazza anoressica, probabilmente,  non riesce a
rendersi conto della gravità delle sue condizioni. Non può cogliere il
messaggio di questa campagna. Quale occhio può  cogliere l’errore? Trovare il
modo di  cambiare i modelli, migliorare le
condizioni di vita di milioni di persone?


Questa campagna serve? non serve?
Si parla di anoressia e questo è un passo però altri devono essere  fatti per cambiare una realtà tragica che vede molte persone annullarsi in nome di
ideali di perfezione inumani.

Roma -Juventus 2-2

Ieri si è giocato Roma –Juve, la
partitissima attesa da giorni, tutti i pronostici erano favorevoli ai
giallorossi. Io chiedevo una partita combattuta, solo questo, un risultato non  riuscivo a ipotizzarlo.


Sono stata spiazzata dalle tre
punte messe in campo da Ranieri. Mi sembravano una pazzia.


22
Il goal di Trezeguet. Buon segnale calpestato
dai due goal romanisti. Non restava che aspettare e sperare. I minuti che
scorrevano. I dubbi riguardo una difesa molto approssimativa, tenuta su da un grande
Buffon. Le occasioni mancate. Il rigore sbagliato da Del Piero era il classico
bicchiere vuoto in cui si potevano annegare le delusioni, i rimpianti.


A pochi minuti dalla fine giunge
il momento, quello che quasi non osi aspettare, quello in grado di drizzare una
giornata: poderosa rimessa di Chiellini e capocciata di Iaquinta. Goaaallll


Si torna da Roma con un risultato
positivo, con nuove speranze e alcune preoccupazioni, le condizioni di Andrade
in primis.


Apprezzo il coraggio mostrato da
Ranieri e dalla squadra. E’ giusto crederci sempre.


 Foto  La presse tratta da www.juventus.com


100 goal di David Trezeguet in serie A  Bravo!

venerdì 21 settembre 2007

La Ferrari è nuda

La Mc Laren viene processata per
spionaggio nei confronti della Ferrari. E' condannata all'azzeramento dei
Raikkonen_160907_inf200x150
punti nella classifica costruttori. La Fia pubblica i verbali relativi alla
sentenza. Annerisce le parti relative ai dati tecnici. Peccato che copiando il
testo da Pdf a word fosse possibile  leggere i dati sensibili relativi
alle due scuderie e  alle persone coinvolte. Il testo ora è stato
sostituito da uno non più decifrabile. Tutte queste informazione, i
"segreti" Ferrari  però ora circolano liberamente su internet.


Con tutte le parole che sono state dette riguardo la spy story questa notizia ha il sapore di una barzelletta. E ora? Processo
contro la Fia? o riabilitiamo la Mc Laren?


Non è la prima volta che accadono situazioni di questo tipo. Mantenere il segreto in rete sembra diventata una missione impossibile.


La Fia pubblica i verbali, Ferrari senza veli sul web


Foto adnkronos

giovedì 20 settembre 2007

mai più tu

   Perduto amore si specchiò nella sera e scomparve
   Inutili furono i richiami, le suggestioni

   Non restarono neppure i
ricordi a farle compagnia


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martedì 18 settembre 2007

Vento

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Cambia il vento ma noi no
e se ci trasformiamo un pò
è per la voglia di capire chi non riesce più a parlare
ancora con noi


Quello che le donne non dicono - Fiorella  Mannoia

lunedì 17 settembre 2007

Una parte di me 4° e ultima parte

Una parte di me


una parte di me (1)
una parte di me (2)
una parte di me (3)


Si rinchiuse in casa per settimane, quasi fosse morta anche lei. Alcune
persone erano venute a conoscenza 100_4381del suo rapporto con Giorgio. Tacevano per
pietà. Il rischio di rappresaglie era ancora alto.
  Qualche donna preoccupata per le sue
condizioni, andava a trovarla. Offriva il suo aiuto. Gina le allontanava, ferma e gentile diceva che
voleva rimanere da sola. Fu in quei
giorni, trascorsi nel dolore più cupo, che si rese conto di non esserlo più. Io
stavo crescendo dentro di lei. Le procuravo i giramenti di testa, le nausee.
Quel malessere che attribuiva all’abbandono.  Fu per me che decise di essere felice. Se lo
ripeteva con tanta convinzione che a un certo punto le riuscì quasi  possibile crederlo.


Si, lei era felice. La guerra era finita e la sua gravidanza si faceva
più evidente. Passò qualche mese, io vidi la luce a settembre. La tenevo
impegnata chiedendole attenzione. Le rimane100_3888_2va poco tempo per pensare a mio
padre. Gina voleva disperatamente essere felice per se e per il suo bambino che
non sapeva come sfamare. In quei giorni pensò a un modo per
mantenerci.  Decise di far diventare la
sua casa un’osteria. L'aprì nei primi mesi del  ’46 e il futuro a  Gina sembrò  possibile. Il locale era caldo, accogliente.
Ci si andava per giocare a carte, parlar di politica. Le comari, di mattina, vi
acquistavano il sale e il caffè. In quel
luogo avevano l’impressione di sentirsi ancora vivi, la solitudine pesava meno
e chi voleva, poteva far finta di essere informato. La radio era giunta l’anno
prima, nuova fiammante, faceva bella mostra di sé sulla mensola. Usata con
parsimonia. Percepita ancora come un
piccolo lusso. I giornali, seppur con
ritardo, facevano la loro regolare comparsa.


Tante cose erano cambiate dopo la guerra. Il paese sembrava ripiegato su
se stesso. Preda di
mille abbandoni. I vecchi si riunivano sull’uscio per
divagar della vita passata. Molti
giovani erano 100_4018
lontani. Rivivevano nei
racconti dei parenti a cui li legava un filo fragile, fatto di lettere sempre più rade. Giungeva, ogni
tanto, qualche telefonata consumata in
fretta, nell’osteria, l’unico posto attrezzato. Quasi a ogni ora, si percepiva
un leggero brusio. Telefonare
costringeva a portarsi una mano sull’orecchio ed alzare il tono. Serviva per le
cose urgenti, costava. Diventava il regalo di chi stava in città, perso in
frenetici ritmi che lo spingevano a scrivere sempre meno. La gioia, per chi restava, era in una voce
che suonava meno conosciuta, in una quotidianità giusto appena sfiorata dopo che si era persa
nella lontananza. Per il resto c’erano le cartoline, i telegrammi scritti per
necessità o le lettere-riassunto di una vita che scorreva altrove.


Gina non sarebbe mai partita, solo
lì aveva conosciuto la felicità. Le sembrava il posto giusto dove crescere suo
figlio. Si sentiva utile in quel luogo. La gente con lei si confidava. 100_4087Mi
ricordo, quasi fosse ieri, le signore anziane che dividevan con lei le loro
pene, stanche per il peso della solitudine. Le era sempre riuscito facile ascoltare. Quasi come respirare. Sentiva il peso e la voglia dei ricordi. Come fossero un
bene prezioso da riporre con cura, da conservare. «Sono una parte di me»
rispondeva a chi le chiedeva il perché
di tutto quel attaccamento al passato. Il
suo conforto e la sua condanna. Non c’era bisogno di dire altro. Chi provava a
capire, capiva. Gli altri si zittivano, poco propensi ad accettare quella spiegazione e allo stesso tempo
incapaci di continuare a conversare. Io semplicemente l’amavo. Era mia madre. Il suo sorriso e le sue storie mi
fanno compagnia ancora oggi.
Sono il bene più prezioso.


fine


Ringrazio chi è giunto
fino a qui. Era la mia prima esperienza con un racconto di queste dimensioni.
molte cose sono ancora da correggere, da migliorare. però è un inizio e di
questo sono contenta




sabato 15 settembre 2007

Il mare e..

Quando fuori piove vado al mare. Dolce e salato si confondono sulla pelle. La sua voce sembra più chiara. Mi siedo sulla spiaggia e ascolto. I piedi piantati nella sabbia. L’asciugamano sulle spalle.
Il freddo prova ad assediarmi.
Trascorrono i minuti. Gli occhi si riflettono nell’acqua. I capelli si perdono nel vento.  Mi chiedo se questo basta a spiegare il perché sono lì.
Il mare.
Il resto no, non ha più importanza


tempesta 2immagine tratta da www.rivistadelmare.it


 

giovedì 13 settembre 2007

mercoledì 12 settembre 2007

Una parte di me (3)

Il tempo ricominciò a scorrere. Gina tornò a sentirsi sola. Giorgio era il conforto. Il pensiero di ogni
giorno.  Alcune  lettere spezzavano il silenzio. Era stato spedito
lontano. Almeno per il momento non poteva tornare. Però la pensava. Glielo
ripeteva in ogni messaggio.  Un filo li
legava. Gina ne era convinta. Aveva una ragione in più per sperare nella pace.


Lo rivide dopo quasi un anno. Era
autunno inoltrato, cadeva la prima neve.
Il buoi era sceso presto. Sentì bussare alla
porta. Si spaventò. Scese giù dal letto,
si avvolse nello scialle ed andò ad aprire. Faticò a riconoscere Giorgio nell’uomo disfatto che aveva davanti.
Sembrava invecchiato. La barba era lunga. I vestiti avevano visto tempi
migliori. Gina lo abbracciò. Gli fece
segno di entrare in casa. Non voleva corresse rischi. Si raccontarono i mesi
che avevano trascorso lontano. Seduti davanti al fuoco, mentre la notte si
faceva più scura, venne il momento in cui le parole divennero inutili. Annullarono la lontananza. Le
preoccupazioni non ebbero più spazio. Il tempo fu cosa loro e basta, trascorso
come giovani d’un tempo migliore.


Salutarono insieme l’alba. Lui aveva fatto
diversi chilometri per raggiungerla, dovette ripartire. Le promise di tornare
presto e così fece, appena poteva, nei momenti più inaspettati, faceva la sua
comparsa. Cercavano, nonostante l’amore, di essere prudenti.  Iniziarono a parlare di matrimonio, di
stabilità. Quasi fuori posto quei pensieri, nel mezzo di una guerra che non
sembrava avere fine. Giorgio le diceva «Ci sposeremo quando tutto sarà finito,
vedrai come sarà bello celebrare il nostro matrimonio in pace». Gina annuiva. Quando
si vedevano giocavano a immaginare il loro giorno speciale e abbracciati
trascorrevano il poco tempo che era loro concesso. Ne emergevano felici, quel pensiero li
spingeva a guardare avanti. 


100_3888La primavera aveva preso il posto dell’inverno. Faceva caldo. Era un
banale giorno di marzo. Uguale a tanti altri. Gina stava lavorando nell’orto
quando vide Mario, il migliore amico del suo uomo. Un ragazzone alto e
dinoccolato, sempre allegro.  Le venne incontro dicendole che Giorgio era stato ferito in un’azione,
giù sulla strada provinciale, una
raffica di mitra lo aveva preso di striscio. Lo stavano medicando.


   
Non
era mai stato bravo a mentire. Gina gli prese le mani e gli disse solo
«Dov’è?» fissandolo negli occhi. Mario non riuscì a sostenere il suo
sguardo. Fece un segno con la mano «in cielo» le disse  a mezza
voce. Dalla ragazza non uscì alcun suono. Era come se si fosse spenta.

martedì 11 settembre 2007

Una parte di me (2)

- Una parte di me - (1)


Un giorno non ce la fece più. Decise di tornare. La guerra era scoppiata
da qualche mese. La città non più sicura. Gina aveva risparmiato un po’ di
denaro. Sperava che potesse bastarle per qualche tempo. Almeno fino a quando
fosse riuscita a dare una direzione più sicura alla sua vita.


Si era riscoperta innamorata della
sua casa. Poco per volta la riportava alla vita, dissolvendo la polvere e il
senso d’abbandono che vi aleggiavano. Diversi anni erano trascorsi da quando era
partita. I vicini la chiamavano la
cittadina
. Erano gentili ma quel soprannome la metteva a disagio. In quel
100_3915
periodo incontrò Giorgio.  Aveva un paio
d’anni più di lei. Quando erano bambini si erano quasi ignorati. Si offrì di
darle una mano per i lavori più pesanti. La fece sentire meno estranea.
Gina aveva ritrovato la serenità, le
radici la rendevano più sicura. Lei e Giorgio si sostenevano l’un l’altro.  Nacque un’amicizia che si fece, con il
tempo, più profonda.  Si vedevano quasi ogni giorno. Lui era
maestro, svolgeva il suo lavoro con passione, i bambini lo adoravano.


La guerra continuava. L’incarico a
Badoglio  aveva fatto sperare nella pace. Presto però  si era capito che poche cose erano cambiate. Le notizie arrivavano con
ritardo.  L’8 settembre colse molti
impreparati, si viveva alla giornata, diventava difficile fare previsioni. Giorgio  decise di andare in montagna, voleva aiutare la sua gente. Quando Gina lo vide, la sera in cui partì, sentì
che nulla sarebbe stato più  come prima. Non
glielo disse. In realtà furono poche le parole. Un soffio i minuti trascorsi
insieme. La preoccupazione era l’ospite ingombrante che non riuscirono a
scacciare.

sabato 8 settembre 2007

In mezzo ai ricordi sta il cuore

  100_4015forse                                                                                          
                                                                                                    

venerdì 7 settembre 2007

- Una parte di me -


Gina era alta, appena un po’ robusta. I capelli neri e folti. Due occhi
azzurri puntati sul mondo. Aveva un’aria decisa e risoluta. Inusuale in donne
della sua età. Più comprensibile per chi conosceva la sua storia.  Era cresciuta con una zia,  nella vecchia casa arroccata all’inizio del
paese. Quella che un tempo era stata una 100_3888_2famiglia numerosa, si era ridotta a
loro due sole, unite nel condividere il
ricordo.      Rare erano le foto appese alle pareti. Gli oggetti, testimoni degli
affetti più cari, erano disseminati nelle stanze. Spunto per i racconti della
sera.   Le donne trascorrevano quelle ore
filando o rammendando gli indumenti.
Gina prendeva un oggetto, spesso fuori
moda e fuori tempo, rimasto su una mensola a riposare per anni e lo posava sul tavolo. Chiedeva alla zia «Di
chi era?» L’anziana lo fissava per un momento, assorta. Fosse un pettine, un
vecchio cappello, una pipa o chissà cos altro. Lo fissava per un momento e poi  iniziava «Si, io mi ricordo…» quasi sempre
erano queste le sue prime parole. Mentre il lavoro scorreva nelle  loro abili mani, si dipanavano anche i fili
della memoria. «Quel cappello era di tuo zio Fredu. E’ partito così, dalla sera alla mattina, per l’America. Ci
ha lasciato due righe, vergate in
fretta e via. Nostro padre non voleva, a quel tempo non si usava ancora fare così. L’America è lontana. I
vecchi non la vedevano di buon occhio. Non si può risolvere i problemi tutti d’un colpo – dicevano - meglio non
rischiare. Se proprio uno vuole
cambiare, la Francia è più vicina, conosciamo questa o quella persona....  Ma Fredu non ascoltava, aveva la sua testa, le
sue idee. Il paese gli stava troppo stretto. E’ andato a San Francisco. Si è
sposato lì, con una del posto….».


La ragazza aveva le sue storie preferite, quelle che non si stancava mai
di ascoltare. Un piccolo pettinino d’argento occupava un posto speciale nel suo
cuore. Era delicato, grazioso. La nonna l’aveva ricevuto in dono il giorno in
cui s’era sposata. Lo vedeva brillare  nella foto dei due sposi. Appena sbiadita,  era appesa sulla parete della cucina.  Due giovani, eleganti nei vestiti della festa,
l’espressione seria di chi sa di aver fatto una scelta importante. Guardavano a
un futuro che era ormai cosa passata. Le loro esistenze erano state scandite da
figli e fatica, si erano interrotte quando non avevano ancora settanta anni.
Erano stati felici? Gina pensava di si, né aveva la sensazione ascoltando zia Neta e i suoi ricordi di una famiglia
unita, anche nelle difficoltà.


Poi era rimasta sola. Non le sembrava possibile abitare in quella
casa. Aveva pensato che partire fosse la soluzione.
La città, il lavoro come
domestica. La mezza giornata di libertà trascorsa a camminare. Poco importava
la direzione, voleva solo muoversi, lasciare andare i passi e i pensieri,
liberi di seguire la loro strada. Il lavoro era faticoso ma alla sua portata. I
padroni gentili. Il programma da rispettare era rigido. Un sistema collaudato,
così lo presentava la signora alle sue amiche. Ne era orgogliosa. Gina no,
certe volte sentiva il bisogno di cambiare. «Dove sarebbe potuta andare?» In
nessun posto le rispondeva il suo lato razionale. In nessun posto. Il nuovo giorno che si apriva la vedeva lì, a
combattere contro domande che riaffioravano insistenti e contro il desiderio di
una vita diversa.


(continua)

martedì 4 settembre 2007

Incontri

Guidavo da ore, indifferente al
paesaggio che mi scorreva a fianco. L’avevo deciso quella mattina.


«Giorgio oggi voglio andare a
trovare i miei.» Mio marito non ha fatto una piega. Mi ha solo chiesto quando pensavo di
tornare. Gli ho promesso una telefonata
al mio arrivo. Spero, con idee più chiare.


Come per tutte le decisioni
improvvise, all’inizio mi sentivo eccitata. Preparavo la valigia, sistemavo le
ultime cose ed ero preda di una strana euforia. Poi è sopraggiunta la calma,
serena, che ha scavato nella memoria fino a farmi sentire più vicina alla meta
di quanto denunciassero i chilometri.


 Sono partita che avevo 18 anni. Ho salutato i miei genitori rassicurandoli
che prima o poi sarei tornata. Non avevo una meta. Un piano definito. Lasciai
fare al destino. Trascorsi due giorni tra pulman e treni. Coincidenze mancate e incontri nati sotto una buona
stella.


Avevo resistito ventanni senza
che nemmeno mi sfiorasse il pensiero di ritornare. Troppi erano i posti da vedere, le persone da incontrare.
Troppi i motivi che mi tenevano lontana.


Puntualmente ogni estate invitato
i miei a venirmi a trovare. Alla  prima
telefonata ne seguiva una seconda e poi una terza.. Tutte quelle che richiedeva
la buona creanza e che servivano a tacitar la mia coscienza. I miei genitori
mostravano una fantasia inaspettata nel trovare validi motivi per rifiutare.
C’era sempre qualcosa che li spingeva a rimandare. Al telefono sembravano
sereni, affettuosi, poco inclini a fare domande. Non mi avevano mai chiesto di
andarli a trovare. In fondo, a me, il loro atteggiamento faceva comodo. Vivevo
spensierata senza farmi problemi. Senza
pormi domande. Ventanni erano trascorsi con telefonate regolari, lettere mal scritte e altre solo pensate.


Ora che  si avvicinava il momento mi assaliva un po’ di
inquietudine.

lunedì 3 settembre 2007

domenica 2 settembre 2007

AN-GHIN-GO

La regina comanda,
il re sta in cucina,
i fanti in cantina ...


«Tagliatele la testa»
Il grido stentoreo proveniva dal
fondo. Provai a osservare con più attenzione.
Una donna  si agitava sul suo scranno. La mano era impegnata a
tener ferma la corona.
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«Tagliatele la testa» Sembrava mortalmente offesa. Urlava con quanto
fiato aveva in gola. Le gote arrossate. Era sul punto si scoppiare.
«Tagliatele la testa»
Ripeteva quasi ossessiva. La mano destra brandiva lo scettro e fendeva l'aria
con movimenti veloci.
Intanto si guardava intorno.
Cercava elementi, indizi utili a capire chi avesse osato tanto.
I suoi sudditi, carte da gioco di buona qualità, non le erano d'aiuto. La testa
china, l'aria spaurita, sembravano ormai rassegnati ai suoi strapazzi e le
prestavano poca attenzione.
Solo un paio di fanti si era mosso nella mia direzione. I due temerari si
stavano avvicinando tra sbuffi e sospiri. Iniziavo a sentire le loro voci
concitate. Stavano discutendo su come agire. Erano  lì ad un passo.
Fu a quel punto che chiusi il libro e
spensi la luce.


immagine tratta da www.fantasymagazine.it